La formazione continua e le politiche attive del lavoro sono risorse fondamentali per supportare il sistema Paese nell’acquisire le competenze per affrontare la delicata fase di ripresa dall’emergenza epidemiologica da Covid-19. Per il pieno compimento della transizione digitale, dell’innovazione dei sistemi produttivi, a favore della competitività, della rivoluzione green, della transizione ecologica e della valorizzazione del capitale umano a favore dell’occupabilità.
Al netto di tanto pregevoli quanto sporadici casi in cui risponde ai concreti fabbisogni di sviluppo di imprese e lavoratori, troppo spesso la formazione è difficilmente oggetto di reale progettualità strategica e condivisione con le parti sociali. La tendenza da parte delle aziende a non mettere in atto progettualità a lungo termine, quindi il rischio di non disporre di adeguate competenze in grado di innovazione e apprendimento, ed escludere sistematicamente dal processo di sviluppo di nuove competenze i lavoratori svantaggiati, è estremamente alto.
Piani formativi e fondi interprofessionali, chi decide a chi vanno i finanziamenti
I corsi di formazione vengono tipicamente organizzati per assolvere a un adempimento normativo, come risposta a fabbisogni di breve periodo, o, peggio, per “sfruttare” i finanziamenti disponibili con contenuti “a caso” proposti senza adeguata analisi della domanda da parte dell’ente di formazione di turno.
Ma come funziona il mercato degli enti di formazione, e da chi è composto?
Le competenze statali in materia di formazione continua si basano sull’attività di soggetti privati, autorizzati dalle amministrazioni regionali (tramite formale procedura di accreditamento) ad erogare attività di formazione, pagata con finanziamenti pubblici.
Qui si innesta un problema strutturale, che merita di essere messo in luce: gli Enti cui è delegato il sistema di formazione nazionale (servizio pubblico) sono soggetti privati (tipicamente società di servizi), che operano con logiche di mercato, mentre, sul piano economico e finanziario, devono la propria sussistenza ai bandi delle regioni o dei fondi interprofessionali, la cui pubblicazione non ha data certa e la cui aggiudicazione non è garantita (ogni singolo progetto viene sottoposto a valutazione di finanziabilità o meno di volta in volta).
La Legge 40
Da più di trent’anni il legislatore ha previsto uno strumento, poco noto ai più: la Legge 40 del 14 febbraio 1987, finalizzata a garantire continuità gestionale e di governance alle strutture di coordinamento nazionale degli Enti di formazione privati che operano a livello locale su più amministrazioni regionali. A partire dalla Legge 40/87, che prevedeva “norme per la copertura delle spese generali di amministrazione degli Enti privati gestori di attività formative”, e tramite una serie di provvedimenti successivi, di cui quello attualmente in vigore è il DM 107/2015, il Ministero del Lavoro concede agli Enti privati, che svolgono attività rientranti nell’ambito delle competenze statali sulla formazione, contributi per le spese generali di amministrazione relative al coordinamento operativo a livello nazionale degli Enti medesimi, non coperte da contributo regionale.
I numeri a disposizione
I contributi vengono erogati sulla base della capacità realizzativa degli Enti richiedenti. L’importo messo a disposizione dal Ministero del Lavoro per questo capitolo di spesa è indicato di anno in anno nella Legge di Stabilità (per l’anno 2020 sono stati stanziati 13 milioni di euro, a valere sul Fondo Sociale per Occupazione e Formazione – capitolo 2230 piano di gestione n. 2), e viene ripartito proporzionalmente al numero di Ore Formazione Allievo (denominate Ofa in gergo dagli addetti ai lavori) realizzate dagli Enti di formazione, attraverso le emanazioni regionali, durante l’anno precedente.
In passato il beneficio era concesso solo ai soggetti non profit, mentre oggi l’opportunità è aperta anche agli Enti profit (che operano con logiche di mercato), all’unica condizione che rendicontino ore di formazione pagate da finanziamenti pubblici, in modalità non profit, ovvero secondo la normativa prevista nei Regolamenti degli accreditamenti regionali.
Funzionamento dei finanziamenti e rappresentanza
Dato che si tratta di una normativa obbligatoria per la gestione dei finanziamenti, quanto sopra esposto equivale a dire che il contributo è “concedibile” a tutti i soggetti privati che utilizzano i finanziamenti pubblici per erogare la formazione, che operano in più di una regione e che sono dotati di struttura tecnica ed organizzativa idonea allo svolgimento delle attività formative.
Anche le condizioni di rappresentanza e legame con il mondo del lavoro da parte degli Enti beneficiari si sono completamente perse negli anni (l’Art 1 comma 2 della Legge 40/87 indicava come beneficiari del contributo gli enti privati emanazione o delle organizzazioni democratiche e nazionali dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori autonomi, degli imprenditori, o di associazioni con finalità formative e sociali, o di imprese e loro consorzi, o del movimento cooperativo), tant’è che dal 2006 (Art 20bis del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51) è stato soppresso ogni riferimento alle organizzazioni di rappresentanza.
Nel 2020 solo 33 soggetti, in rappresentanza delle rispettive Reti, hanno beneficiato dei 13 milioni di euro disponibili, sui circa 6.000 enti accreditati presso le regioni. Trattandosi di una leva strategica per la crescita e per il sostegno alle Reti di interesse nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, la Legge 40/87 meriterebbe una maggiore diffusione, in termini di comunicazione e assistenza tecnica all’accesso, e, perché no, qualche forma di recupero dalla ratio originaria, che incentivava logiche di servizio pubblico, e non di mercato, e diretta correlazione con i fabbisogni espressi dai corpi intermedi o dai rappresentanti delle parti sociali.